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Topics - doktor

#1
Solo su Free Playing, il mio omaggio alla generazione uscente.


Quella PS4 è stata la prima generazione che ho seguito dall'inizio (anzi dal reveal, nell'evento del febbraio del 2013) alla fine (se la facciamo coincidere con l'uscita delle nuove console) da "persona informata sui fatti". E visto che nello stesso periodo avevo iniziato a seguire il podcast, questo è il posto e il momento giusto per salutare l'ormai old gen, con una bella classifichina di quelle che ci piace tanto fare.

Nata ovviamente come top 10, l'ho subito ampliata a 15 perché non volevo escludere nessuno dei giochi che più mi hanno fatto (ri)appassionare in questi sette anni. E mi sono limitato alla sola console PlayStation sia per fare una classifica più sensata, sia perché Xbox One non l'ho avuta, mentre per quanto riguarda Wii U (e Switch se vogliamo) non ha avuto giochi che mi abbiano fatto realmente innamorare (a parte Wind Waker HD, ma i remaster non valgono).

E se qualcuno si chiede perché non ho aspettato Cyberpunk 2077, beh, non mi conosce: la mia personalissima top 15 è completamente RPG-free (occidentali o giapponesi che siano, è un genere che digerisco poco se non a piccole dosi), ma soprattutto open world-free (vero male di questa generazione: stavo già arrivando a saturazione, poi Red Dead Redemption 2 mi ha dato il colpo di grazia). Lo proverò sicuramente per la curiosità dell'ambientazione e di come hanno gestito il tutto, ma stiamo molto calmi.

Ora che mi sono inimicato metà community, possiamo partire.

15 - The Talos Principle

Cominciamo dal miglior puzzle game della generazione: una serie di stanze separate con enigmi da risolvere tramite alcuni strumenti che vengono introdotti man mano, aumentando il grado di complessità. A un certo punto però ti accorgi della presenza di macro-puzzle che coinvolgono più stanze e richiedono un ulteriore livello di lettura e di pensiero laterale (questi sono facoltativi ma danno molta soddisfazione quando risolti).

Il tutto mentre sei immerso in questi ambienti decadenti e suggestivi, accompagnato da una storia molto interessante e filosofeggiante (ma non invasiva perché si può approfondire a piacere). La versione console poi comprende già anche l'ottima espansione Road to Gehenna.



14 - SOMA

A proposito di ambientazioni suggestive e storie dai risvolti filosofici, qui viaggiamo molto alti. Non sono mai stato appassionato di Amnesia o degli altri lavori di Frictional Games (o degli horror in generale), ma SOMA ha quel fascino della fantascienza fatta bene, che fa riflettere su temi non banali. Aggirarsi nelle strutture abbandonate (ma non troppo) della stazione di ricerca sottomarina di Pathos II è angosciante ma allo stesso tempo avvincente.



13 - The Last Guardian

L'ultima, bistrattata avventura di Ueda è una gemma grezza, spigolosa in certi aspetti per colpa della lunga gestazione cominciata in epoca PS3, ma avveniristica per quanto riguarda Trico e la sua IA: non si era mai visto un animale che sembrasse così vero (per quanto fantasioso) per come si muove e reagisce a quello che succede a schermo. Chi si lamenta che la bestiola non risponde istantaneamente ai nostri comandi non ha capito che è proprio quello il punto: instaurare pian piano un legame con una creatura viva e selvaggia, non con un cane ammaestrato.



12 - Sekiro: Shadows Die Twice

Il primo gioco di From Software in classifica è una stupenda variazione dalle classiche meccaniche soulslike, molto più action e meno RPG: all'inizio può essere brutale, ma quando cominci a far tue le meccaniche gli scontri si trasformano in una danza di spade e scintille.
Si ferma però prima della top ten perché il prezzo della maggior libertà di movimento (saltellando qua e là col rampino) è stato un ridimensionamento dell'eccellente level design che From riesce a mettere in piedi di solito.



11 - Return of the Obra Dinn

Non ero fan di Lucas Pope e del suo Papers, Please, ma onore a lui per aver creato il miglior gioco investigativo di sempre: al giocatore viene chiesto di fare vere e proprie deduzioni con le informazioni in suo possesso per scoprire cos'è successo all'equipaggio della Obra Dinn. Qui non si può usare la forza bruta perché bisogna inanellare tre deduzioni corrette alla volta e ci sarebbero troppe combinazioni possibili (almeno finché non ci si avvicina alla fine): si prosegue solo affidandosi al nostro spirito di osservazione e alla capacità di analisi. Geniale.



10 - Resident Evil 2

Ad aprire la vera e propria top ten troviamo il RE dei REmake (oltre che mia prima esperienza con Resident Evil in assoluto). Atmosfera pazzesca, level design di alto livello nelle tre macroaree principali, e un bilanciamento tra action e survival perfetto nella progressione anche alla difficoltà più alta (coi cari vecchi salvataggi limitati).

Ho fatto tutte e quattro le run possibili senza mai stufarmi, dopodiché ho recuperato il bellissimo remake del primo e ho appena finito il buon settimo capitolo. In attesa di VIllage, c'è il Nemesis che mi aspetta.



9 - Dark Souls III

Secondo gioco di From Software in classifica, qui lo dico e non lo nego: Dark Souls III è il migliore della trilogia. L'influenza di Bloodborne dà nuova linfa alla serie velocizzandone il combat system, le boss fight sono tra le migliori di tutti i souls (per qualità e quantità) e, pur essendo la progressione più lineare rispetto ai precedenti, il level design di ogni singola area è straordinario (e io lo preferisco ad avere tante aree interconnesse tra loro, ma più blande).

Non mi esprimo sui 2 DLC usciti perché li ho solo visti giocare senza provarli (ma non mi hanno messo voglia di recuperarli). 



8 - NieR: Automata

Anche qui, non sono mai stato grande fan dei Platinum Games: a parte Bayonetta (l'action game perfetto, il primo almeno), ho sempre sentito la mancanza di quel quid in più negli altri loro giochi. Ebbene, quel qualcosa l'ho trovato grazie all'apporto di follia di Yoko Taro: dopo una serie di giochi dal background super affascinante ma sviluppati da cani, il geniale director affida alle sapienti mani di Platinum il gameplay del nuovo tassello della sua creazione, e il risultato è qualcosa di unico e speciale.

Chi è arrivato a vedere i titoli di coda, quelli veri e irripetibili, sa di cosa parlo.



7 - Dishonored 2

Maestri degli immersive sim moderni (ma non delle vendite purtroppo per loro, e di conseguenza per noi), gli Arkane Studios hanno sviluppato due perle di rara bellezza in questa generazione.

Nel 2016, il team di Arkane Lione esce col seguito del già ottimo Dishonored, portando a un livello ulteriore soprattutto il level design: due livelli in particolare sono da manuale di game design, da studiare e ristudiare. La scelta tra due protagonisti iniziali (ognuno col suo set di poteri personalizzabili) raddoppia poi le possibilità offerte dal gameplay.



6 - Prey

A meno di un anno di distanza, il team di Arkane Austin tira fuori il reboot di Prey: seguito spirituale di System Shock, come BioShock prima di lui, Prey risulta molto più profondo nella struttura e nelle meccaniche rispetto all'opera di Ken Levine. Le varie sezioni della stazione di Talos I si interconnettono tra loro in una specie di metroidvania 3D esplorabile sia dall'interno che dall'esterno, mentre bisogna fronteggiare la crescente minaccia degli alieni Typhon, scegliendo se e quanto assimilare i loro poteri o giocarsela solo con le armi più convenzionali (ovviamente con delle conseguenze).

Menzione d'onore per il DLC Mooncrash (cagato da ancora meno persone rispetto al gioco base), che sfrutta le consolidate basi del gameplay in uno splendido esperimento roguelite, ambientato su una base lunare e perfettamente contestualizzato narrativamente.



5 - Hollow Knight

La parte più alta della classifica inizia col miglior indie della generazione, oltre che miglior metroidvania 2D mai creato: un mix perfetto di esplorazione, platforming e combattimento, una mappa intricatissima dalla quantità e varietà di zone incredibile, un numero esagerato di boss fight epiche, e un ambientazione meravigliosamente malinconica tutta da scoprire.

Tutto ciò creato da un team di sviluppatori che si contano sulle dita di una mano e che hanno supportato il gioco gratuitamente con aggiornamenti e DLC. Chapeau.



E qui mettiamo un bello stacco, perché le quattro teste di serie costituiscono il meglio del meglio della softeca PS4, e nelle mie preferenze spiccano di una bella spanna su tutto il resto della classifica.

4 - God of War

L'operazione di rinascita della saga di Kratos è stata un successo su tutti i fronti. Cory Barlog (già director del secondo capitolo, da molti considerato il migliore) viene richiamato a guidare Santa Monica Studio dopo il punto basso di Ascension, carino ma con una formula stanca che era stata reiterata troppo. La struttura di gioco viene quindi ripensata con un piglio più moderno, ma rispettandone lo spirito: l'open map che viene imbastito è un piacere da esplorare (pur seguendo una progressione semi-lineare), mentre il sistema di combattimento è diventato più profondo e soddisfacente, senza perdere in brutalità e spettacolarità.

Inoltre la gestione della nuova mitologia norrena è magistrale per come viene reinterpretata e legata al protagonista e al suo passato.

Si ferma prima del podio perché, al contrario di quelli qui sotto, non l'ho mai rigiocato (solo platinato). In futuro su PS5 un NG+ ci sta tutto.



3 - Uncharted 4: Fine di un ladro (+ L'eredità perduta)

Terzo posto facile per l'ultimo capitolo di quella che è stata la mia serie preferita su PS3, dalla mia software house preferita da più di 20 anni.
 
Naugthy Dog decide di dare ad Uncharted la conclusione che meritava dopo un mezzo apocrifo terzo episodio (sempre bellissimo, ma più un more of the same del secondo, con anche qualche problemino di narrativa), sviluppato dal team secondario mentre fervevano i lavori sul primo The Last of Us.

Dopo uno sviluppo alquanto travagliato, Neil Druckmann e Bruce Straley (a capo del progetto dopo l'abbandono della scrittrice storica Amy Hennig) riescono a creare un'ultima meravigliosa impresa per Nathan Drake: un'avventura di ampio respiro in giro per il mondo con una scrittura dei personaggi decisamente più matura (l'influenza di The Last of Us si fa positivamente sentire), senza più cazzate paranormali, e con un gameplay nettamente più evoluto rispetto alla trilogia precedente (sia nei combattimenti che nei puzzle e nell'esplorazione). Senza contare la solita dose di set piece mozzafiato in ambientazioni splendide, esaltati dal connubio tra capacità tecnica e gusto estetico che solo in Naughty Dog sanno raggiungere.

Aggiungo come bonus l'eccellente DLC L'eredità perduta, passato da semplice contenuto aggiuntivo a vero e proprio capitolo standalone che, mischiando gli elementi migliori di Uncharted 2 e 4, non ha nulla da invidiare ai capitoli maggiori. Inoltre porta con sé un inizio di sperimentazione con mappe più aperte, di cui si vedranno i frutti più avanti...



2 - Bloodborne

Come si dice, il primo souls non si scorda mai, specialmente se l'area iniziale è brutale come Yharnam Centrale (fottuti lupi sul ponte). Mi ero sempre tenuto a distanza dai Dark Souls perché da fuori sembravano giochi per masochisti, lenti, macchinosi e pieni di statistiche da gestire, e Bloodborne sembrava proprio migliorare tutti quegli aspetti: il personaggio molto più reattivo, il combattimento veloce e frenetico (un letterale bagno di sangue), le cagatine da RPG ridotte al minimo (ciao peso trasportabile, viva il fashion souls). E poi quell'ambientazione così squisitamente gotico-vittoriana era troppo affascinante, così mi ci sono buttato.

Dopo un inizio traumatico comincio a capire come approcciare i nemici, come sfruttare al meglio le fighissime armi trasformabili (ognuna col suo moveset unico), come esplorare le mappe figlie di un level design certosino, volendone sempre di più.

Finisco il gioco, ma non ne ho abbastanza: NG+, espansione (The Old Hunters completa il pacchetto in maniera eccezionale con tre nuove aree, un sacco di nuove armi e nuovi stronzissimi boss), dungeon del calice (un po' meh per via dei layout continuamente ripetuti, ma ehi è un extra).
Il succo del discorso è che ad oggi, 4 platini dopo (nell'ordine Bloodborne, Dark Souls 3, Dark Souls e Sekiro), adoro la "serie" creata da Hidetaka Miyazaki, con Bloodborne che rimane il suo capolavoro.

Gioco della generazione a mani basse. Fino a sei mesi fa.



1 - The Last of Us Parte II

Beh, che dire se non... l'action-adventure più perfetto su cui abbia mai messo mano (e io amo gli action-adventure se non si fosse capito, più di ogni altro genere).

Neil Druckmann, stavolta solo al comando, guida tutto il team in quest'opera monumentale, che non è solo la parte 2 di The Last of Us, ma è The Last of Us2: ogni aspetto che aveva reso grande il primo capitolo è stato portato all'estremo. Le meccaniche di gameplay sono ultra raffinate, il level design più aperto e verticale, l'IA è probabilmente la più evoluta nel genere (che unita al livello incredibile delle animazioni rende il tutto più immersivo), gli scenari della Seattle postapocalittica sono fantastici (lo stadio, le rapide del fiume che attraversano la città... spettacolo), l'uso della fisica per risolvere certi enigmi... più in generale, l'attenzione maniacale ai dettagli.

Il tutto viene innestato e amalgamato in un'ambiziosa struttura in due atti (più epilogo), che a metà strada travolge le aspettative del giocatore con conseguenze di narrativa e di gameplay messe in scena in maniera ineccepibile.

Dopo averlo rigiocato a difficoltà più alta (e platinato), ho apprezzato ancora di più tutto ciò che ha messo in piedi Naughty Dog in quest'ultimo capolavoro. Ci sarà una parte terza? Non lo so, e non vedrei come potrebbero ulteriormente perfezionare questa formula, ma in fondo I'm just a poor wayfaring stranger...



Migliori software house della generazione risultano quindi From Software (con 3 titoli) e Naughty Dog (2+1, ma tutti sul podio), seguiti a ruota da Arkane Studios.

Buona next gen a tutti.
#2
Con le ferie torna anche l'ispirazione per scrivere. E siccome l'estate è stagione di recuperi, ho ben due serie da raccomandare che avevo un po' lasciato da parte pensando non fossero esattamente il mio genere, ma che sono state nominate da più parti tra le migliori dell'anno scorso (a ben ragione, col senno di poi).

La prima è Dopo la Pioggia (o After the Rain, disponibile su Prime Video), su cui non mi dilungo perché già avevano fatto un buon approfondimento i ragazzi di Outcast.

Soffermiamoci invece sulla seconda: A Place Further Than the Universe.


Il titolo si riferisce alla meta del viaggio delle quattro protagoniste: l'Antartide, così lontano e irraggiungibile per delle ragazzine delle superiori da sembrare solo un sogno irrealizzabile. Ma Shirase Kobuchizawa, la cui madre è scomparsa nella precedente spedizione in Antartide, non si fermerà davanti a nulla pur di raggiungere quel luogo tanto inospitale quanto affascinante.


Un racconto di viaggio e d'avventura, ma anche una storia di crescita, di formazione e di amicizia, il tutto sorretto da un'ottima sceneggiatura che si dipana in 13 episodi densi di emozioni in cui le protagoniste dovranno confrontarsi e maturare insieme. Non male per una serie a cui non davo due lire basandomi su descrizione e locandina.


Anche tecnicamente siamo su livelli abbastanza alti, dopotutto è un prodotto Madhouse. Ovviamente non ci sono grandi scene d'azione, ma le animazioni sono sempre curate, anche nei momenti di vita quotidiana. Lo stesso vale per la regia e le musiche, sempre azzeccate e piazzate nei momenti opportuni.


A Place Further Than the Universe è stata una gran bella sorpresa. Se siete nello spirito giusto, o al contrario siete un po' giù di corda, saprà divertire ed emozionare anche voi.

Scheda: A Place Further Than the Universe

Crunchyroll: A Place Further Than the Universe 
#3
Negli ultimi tempi il regista Masaaki Yuasa è sulla cresta dell'onda: il suo Devilman Crybaby diffuso worldwide da Netflix l'ha fatto conoscere al grande pubblico (oltre a vincere alcuni meritati riconoscimenti come anime dell'anno 2018) e con un nuovo film in uscita in estate ed una nuova serie appena annunciata, quale momento migliore per riscoprire la sua (opinione personale ovviamente) opera migliore?


Onestamente non mi sono approcciato a Ping Pong The Animation con grande entusiasmo. Arrivavo dalla precedente serie di Yuasa, The Tatami Galaxy, che ho trovato pesante e finito a fatica, seppur abbia delle belle trovate. Inoltre, come si può notare dalle immagini, il character design è molto, ehm, particolare (questo però dipende più dall'autore originale del manga da cui è tratto).

Beh, è bastato il primo episodio a dissipare tutto il mio scetticismo e conquistarmi.


Ping Pong non è una serie sportiva comune. Qui ogni personaggio è ben scritto, ti fa appassionare alla sua storia e fa un percorso di maturazione nell'arco di soli 11 episodi. C'è il campione che ha addosso la pressione di dover continuare a vincere per non deludere le aspettative del team, chi si allena dalla mattina alla sera ma deve guardare in faccia la realtà che senza talento non può andare oltre un certo limite, e così via.


I discutibili disegni sono poi ampiamente compensati dallo stile e qualità delle animazioni: il dinamismo permea le scene, soprattutto durante i match (giustamente), e spesso si cerca di richiamare il fumetto con la rappresentazione a schermo di una pagina a vignette. Siccome dalle immagini statiche non si può apprezzare tutto ciò, vi allego una bella clip dal primo episodio: 


Spero che dal video abbiate colto anche un altro aspetto fenomenale della produzione: la colonna sonora. Kensuke Ushio è un compositore geniale che passa dai toni delicati de La forma della voce a quelli psichedelici del già citato Devilman Crybaby e qui firma un'altra OST fuori di testa. Meglio ribadire:


Ping Pong The Animation è diventata probabilmente la mia serie sportiva preferita (non conto Un marzo da leoni perchè quello è molto di più, cioè la miglior serie drama dei tempi recenti - e raccomando di nuovo di recuperarlo, specie ora che la seconda stagione è edita anche da noi) e la potete trovare sia su VVVVID che su Crunchyroll: scegliete quello che preferite, l'importante è guardarlo.

Scheda: Ping Pong The Animation

VVVVID: Ping Pong The Animation
Crunchyroll: Ping Pong The Animation
#4
L'avevo detto che il 2019 avrebbe riservato tante belle sorprese, e infatti già questa prima stagione ci ha portato due anime di livello veramente alto: Dororo (ancora in corso) e soprattutto The Promised Neverland. La più apprezzata tra le nuove serie del Jump (dietro sempre l'inarrestabile One Piece) ha ricevuto l'adattamento del suo primo arco narrativo, ed è subito zona AOTY.


Se L'attacco dei giganti ha dimostrato qualcosa è che si può creare una serie di successo anche andando oltre i classici canoni del battle shonen, o meglio, l'ha ribadito: tornando solo qualche anno più indietro non si può dimenticare Death Note. Ed è proprio un mix di queste due serie che mi viene in mente quando penso a Neverland.

Premessa: dovrò fare un minimo di spoiler da qui in poi, ma la cosa migliore sarebbe guardarsi la prima puntata (uno dei migliori inizi che ricordi) senza sapere assolutamente nulla. Quindi... fatelo, e dopo aver finito il binge watching di tutti i 12 episodi (so che succederà, fidatevi) tornate pure a leggere. Fatto? Allora, FIRE.


I piccoli protagonisti di questa storia sono orfani che passano felicemente le loro giornate accuditi dalla cara "Mamma", colei che gestisce l'orfanotrofio. Orfanotrofio che è racchiuso da un'alta cinta di mura che ai bambini è proibito scavalcare... mmm.

Inutile dire che qualcosa di sinistro si nasconde sotto la facciata allegra della Grace Field House e saranno i tre personaggi principali (Emma, Norman e Ray) a scoprirlo. Inizia quindi per loro il gioco più pericoloso.


La storia si muove tra il mystery e il thriller con qualche venatura di horror che non guasta mai, con un'esecuzione magistrale. Il gioco psicologico del "io so che tu sai che io so" che si instaura tra i personaggi funziona alla perfezione, diventando una partita a scacchi in cui si può vincere solo anticipando le mosse dell'avversario. E ciò vale per tutti i protagonisti: di chi ci si può fidare? Non ci sono certezze, il tempo stringe e ogni errore può costare caro.


La sceneggiatura viene esaltata da un'ottima regia che sfrutta anche virtuosismi di camera 3D in modo intelligente per sottolineare la tensione di certe scene. Molto buone anche le musiche, e la opening è tutta un fuoco come avete visto più su.


Insomma questo è un must watch e sapete la cosa più bella? Con la trasmissione dell'ultimo episodio è già stata annunciata una seconda stagione per il 2020. E con il manga già avviato alla conclusione non ci vorrà molto per avere tutta la storia animata: semplicemente perfetto.

Scheda: The Promised Neverland

VVVVID: The Promised Neverland
Prime Video: The Promised Neverland
Netflix: The Promised Neverland
#5
Volevo concludere il ciclo delle serie tranquillone e riflessive con quella forse più rappresentativa: Mushishi. Se non temete i ritmi lenti ed avete apprezzato le due serie di cui ho parlato in precedenza, siete nel posto giusto.


Ginko è un mushishi, uno studioso di mushi. E cosa sono i mushi? Sono forme di vita primordiali, invisibili ai comuni uomini, che vivono in simbiosi con la natura. Ma i mushi possono causare problemi, anche piuttosto gravi, alle persone con cui entrano in contatto, quindi Ginko viaggia in lungo e in largo per il Giappone di un non meglio specificato periodo storico (antico ma non troppo direi) cercando di risolvere questi problemi.


Questa serie è davvero affascinante. Innanzitutto è antologica: poichè Ginko tende ad attirare i mushi non può restare a lungo in un posto e deve continuamente viaggiare. Questo permette di avere in ogni puntata sempre nuovi luoghi, personaggi e situazioni inusuali da esplorare: ogni mushi ha caratteristiche e comportamenti unici, con risvolti spesso assurdi sulle vite delle persone.

E la cosa che colpisce è che Ginko non è onnisciente o infallibile, quindi se il mistero dell'episodio viene comunque risolto alla fine, non sempre lui riesce a salvare la situazione, lasciandoci a volte con un finale dolceamaro.


Il tutto è ambientato in questi paesaggi bucolici da favola che spaziano ovunque, dai mari ai monti alle foreste. L'atmosfera qui gioca un ruolo principale ed è resa in modo magistrale, grazie ai magnifici sfondi e alle musiche sognanti e delicate di accompagnamento.

Non benissimo invece per il design dei vari comprimari che, seppur psicologicamente diversificati e approfonditi, tendono sempre ad assomigliarsi nei lineamenti.


Come avevo anticipato questa serie è disponibile in streaming, ma divisa tra due portali: la prima stagione è solo su VVVVID e la seconda solo su Crunchyroll, solamente sottotitolate.

Nella prossima puntata torneremo di prepotenza al presente con quella che è già la mia serie preferita della stagione (vediamo chi indovina). 

Scheda: Prima Stagione
Scheda: Seconda Stagione

VVVVID: Prima Stagione
Crunchyroll: Seconda Stagione
#6
Nuovo anno, doppia cifra (considerando anche i due episodi zero ho tenuto giusto giusto la media di un pezzo al mese, perfetto).

Prima di andare all'argomento del giorno faccio una piccola riflessione sull'anno che è stato e su quello che sarà. Senza girarci attorno, il 2018 è stato piuttosto fiacco per i miei gusti (anche lato videogiochi, ma quella è un'altra storia): poche serie di spessore (Devilman Crybaby, Violet Evergarden e L'attacco dei giganti 3, con nessuna che raggiunge l'eccellenza), qualche piacevole sorpresa (Lupin III parte 5, il remake di Legend of the Galactic Heroes, Run with the Wind) e diverse delusioni (Steins;Gate 0, Hanebado, Fate/Extra, Persona 5).

Dall'altra parte il 2019, almeno sulla carta, promette di essere un anno di fuoco: saranno animate le tre nuove serie di punta di Shonen Jump, ovvero The Promised Neverland, Dr. Stone e Kimetsu no Yaiba (quest'ultimo prodotto nientemeno che da Ufotable, oh sì!). Wit Studio non solo adatterà l'arco più bello dell'Attacco dei Giganti (almeno per chi legge il fumetto, posso solo fidarmi), ma anche un'opera d'eccezione quale è Vinland Saga. E parlando di importanza storica, vedremo anche una nuova trasposizione del classico Dororo di Osamu Tezuka.

Questo solo per citare i big già annunciati che mi vengono in mente: mica pizza e fichi. Detto ciò, entriamo nel giusto mood.


Nell'ultimo episodio "regolare" avevo anticipato che si sarebbe parlato di un erede spirituale di Kino's Journey, quindi ecco una delle sorprese migliori del 2017: Girls' Last Tour (o nello scioglilingua originale Shoujo Shuumatsu Ryokou).

La storia è molto semplice: due blobbine, ehm bambine attraversano su un cingolato i resti di una città devastata da non si sa quale evento, non si sa dove o quando. Quello che è successo rimane molto sul vago perchè la parte importante è il viaggio delle protagoniste in mezzo a questi ambienti diroccati ma con un certo fascino.


Da una ambientazione post-apocalittica come questa ci si aspetterebbe qualcosa di pesante e drammatico, invece fin dall'inizio si mette in chiaro che i toni sono leggeri e pacati. O meglio, le due ragazzine devono sì spostarsi continuamente a caccia di cibo e risorse, ma l'enfasi è posta più sulla loro curiosità e sul piacere della scoperta.

Non confondiamo però la leggerezza del racconto con i contenuti: quando meno te lo aspetti ecco che la serie ti piazza una riflessione non banale sui temi più disparati.


Non sono solo gli sfondi a essere evocativi: anche la colonna sonora fa un gran lavoro di atmosfera. Ma la verità è che la parte del leone la fanno le irresistibili sigle, cantate dalle doppiatrici delle protagoniste: la ending in particolare è stata disegnata dallo stesso mangaka dell'originale ed è una meraviglia.


Anche questa perla è purtroppo rimasta inedita in Italia (si trova dai gruppi fansub Omnivium - Pantaloni Rossi). Andrà meglio la prossima volta (se non cambio piani su cosa trattare).

Scheda: Girls' Last Tour
#7
Di solito non scrivo di giochi, ci sono già tanti altri che lo fanno. Ma dopo aver concluso il capitolo finale di questa serie sento il bisogno di darle il giusto spazio, visto che in anni da ascoltatore di podcast mi pare di non averla mai sentita nominare (e ne ascolto parecchi). Tuffiamoci quindi nel folle mondo di Danganronpa.


Si parla di visual novel, non di quelle pure dove c'è solo da leggere (e fare delle scelte ogni tanto) come Steins;Gate, Fate/Stay Night o Clannad, ma del tipo ibrido, con delle effettive parti di gameplay (seppur limitato) come gli Ace Attorney o gli Zero Escape. E non nomino queste due serie a caso, in quanto sono proprio le più vicine a Danganronpa come struttura e narrazione (chi è già estimatore di quelle molto probabilmente apprezzerà questa, e viceversa).

In ognuno dei tre capitoli di questa serie, a partire da Trigger Happy Havoc, la trama vede un gruppo di studenti di un'accademia d'elite (ciascuno dotato di un particolare talento) preso in ostaggio dal sadico orsetto meccanico Monokuma, che li costringe ad un gioco mortale: l'unico modo per essere liberati è uccidere uno dei propri compagni senza farsi scoprire dagli altri. Dovremo quindi risolvere i vari casi di omicidio che si susseguiranno durante i "processi di classe" e nel mentre indagare anche sui misteri che circondano Monokuma e il luogo dove ha intrappolato gli studenti.   


Il primo episodio scorre piacevolmente con qualche ingenuità e alcuni casi un po' troppo prevedibili, ma è con i seguiti che le cose si fanno veramente interessanti. Danganronpa 2: Goodbye Despair lima i difetti del predecessore e gioca molto con le aspettative di chi viene dal primo.

Danganronpa V3: Killing Harmony si spinge ancora più in là arrivando, tra colpi di scena e contro-colpi di scena, ad un finale geniale che chiude tutta la serie probabilmente nel migliore dei modi (anche se parecchi non hanno apprezzato).

Entrambi costituiscono a mio avviso degli splendidi esempi di metanarrativa videoludica. 


Come scrittura in generale Danganronpa è leggermente inferiore alle due serie con cui è imparentato (Ace Attorney e Zero Escape sono degli orologi svizzeri da questo punto di vista), ma ci sono due aspetti in cui spicca nettamente: il cast dei personaggi e lo stile.

Ogni capitolo riesce a rendere memorabile una quindicina di personaggi grazie ad un incisivo character design e alle loro forti personalità: all'inizio possono sembrare dei classici stereotipi, ma quando le cose cominciano a precipitare rivelano un'umanità e una profondità che non ti aspetti.

Lo stile poi è semplicemente stupendo: dagli sfondi che si aprono come diorami, alle musiche trascinanti, alla composizione stessa dell'interfaccia e dei testi. Tutto ciò viene esaltato soprattutto nei processi di classe, le parti più "gameplayose" e il cuore di tutto Danganronpa (sono anche le uniche interamente doppiate, in giapponese o inglese). Andate al minuto 5:00 del video qua sotto per una dimostrazione.   


Quindi, se non vi dispiace leggere tanto (e in inglese, perchè solo il primo per ora ha una traduzione fanmade) e vi interessa questo tipo di storie interattive con misteri da risolvere (in un contesto più o meno macabro, ma ricco di humour e situazioni esilaranti, come solo i giapponesi sanno fare), trovate l'intera serie su Steam, PS4 e PS Vita (ironicamente la versione migliore, perchè la portabilità è molto comoda con questo tipo di giochi). Se volete prima fare una prova su Steam c'è una comoda demo dell'ultimo capitolo, completamente spoiler free (ha un caso di omicidio inventato rispetto al gioco vero).

Divertitevi, e attenzione se cercate informazioni online: gli spoiler sono dietro l'angolo e possono rovinare davvero l'esperienza. Io intanto guardo con molta curiosità a quello che verrà fuori dal nuovo studio Too Kyo Games, fondato insieme dagli ideatori di Danganronpa e Zero Escape: le premesse per qualcosa di interessante ci sono tutte.
#8
Extra Credits / #ANIME: I consigli di #DOKTOR #0.5
28 September 2018, 18:41:21
Sorpresa. Questo episodio speciale avrei dovuto scriverlo per primo in realtà, ma mi è venuto in mente tardi, ecco perché la numerazione alla Kingdom Hearts: prima di tornare a raccomandare serie di nicchia misconosciute vi presento il mio personale listone dei migliori anime "mainstream" dell'ultimo decennio, divisi per anno di uscita. Non sono necessariamente i più belli del proprio anno (in alcuni casi sì), ma sono tutti ottimi punti di partenza per un neofita che vuole approcciarsi a questo mondo (e anche i più navigati potrebbero trovare qualcosa d'interessante che gli manca).

Considerate che "mainstream" è un concetto relativo, ma il fatto che gran parte di queste serie sia doppiata e disponibile in streaming su più portali dovrebbe essere un indizio.   

2009 - Fullmetal Alchemist: Brotherhood

Si parte col botto: l'epopea dei fratelli Elric è una delle storie per ragazzi più amate al mondo (lo troverete sempre nelle prime posizioni di qualsiasi classifica dei migliori shonen, per l'appunto) e uno dei miei virtuali 10/10. Amore, odio, guerra, pace, peccato, redenzione, scienza, religione: FMA tocca tutti i temi fondamentali con una realizzazione impeccabile e rimanendo coerente dall'inizio alla fine.


Netflix: Fullmetal Alchemist: Brotherhood

2011 - Puella Magi Madoka Magica

Nel 2010 non è uscito niente di eccezionale, ma compenso con due gioiellini del 2011. Il primo è frutto di un dream team d'eccezione: Shaft alle animazioni, Gen Urobuchi alla sceneggiatura, Yuki Kajiura alle musiche. Quella che sembra essere una semplice storia di "maghette" (alla Sailor Moon, per dire) nasconde molti più strati di profondità. La ending, "Magia" delle Kalafina, è favolosa.


VVVVID: Puella Magi Madoka Magica

2011 - Steins;Gate

La seconda perla di quell'anno è una delle migliori storie sui viaggi nel tempo (e l'effetto farfalla), a prescindere dal medium. E c'è John Titor: non c'è altro da aggiungere. Ah sì, la opening "Hacking to the Gate" è diventata un cult tanto quanto la serie stessa.


VVVVID: Steins;Gate
Netflix: Steins;Gate

2012 - Psycho-Pass

Altro parto della mente (malata) di Gen Urobuchi, stavolta con Production I.G: una distopia ambientata in una futuristica città giapponese dove il crimine è praticamente eliminato a scapito del monitoraggio costante dei cittadini. Vagamente ispirata a Minority Report (e alle opere di Philip K. Dick in generale, visto che è più volte citato). E altra ending spettacolare.


VVVVID: Psycho-Pass
Netflix: Psycho-Pass

2013 - L'Attacco dei Giganti

Quella del lotto che ha meno bisogno di presentazioni, il fenomeno mondiale che ha travolto tutti con l'immensa prima stagione (con la prima opening diventata addirittura un meme) e che ci ha fatto attendere anni per vederne il prosieguo. Arrivati alla terza stagione la qualità si mantiene ancora molto alta (ma forse non quanto agli inizi). Merita una menzione la mai abbastanza celebrata colonna sonora di Hiroyuki Sawano, senza la quale molte scene non avrebbero lo stesso impatto.


VVVVID: Prima Stagione | Seconda Stagione | Terza Stagione
Netflix: L'Attacco dei Giganti
Prime Video: L'Attacco dei Giganti

2014 - Kiseiju: L'ospite indesiderato

In breve, la versione giapponese de "La cosa" di Carpenter, meno horror e più psicologica/filosofica (e anche più umana). Interessante come il manga da cui è tratta appartenga agli anni '80 e l'anime lo riadatti ai giorni nostri.


VVVVID: Kiseiju
Netflix: Kiseiju
Prime Video: Kiseiju


2015 - Death Parade

Ne ho già scritto approfonditamente qui.


VVVVID: Death Parade
Netflix: Death Parade
Prime Video: Death Parade

2016 - Erased

Un affascinante thriller/mistery che tiene incollati dall'inizio alla fine, con tocchi di regia notevoli. In questo caso la capacità del protagonista di viaggiare nel tempo è solo un pretesto senza spiegazioni logiche, ma funziona ai fini della storia.


Netflix: Erased

2017 - Made in Abyss

Questa reinterpretazione moderna (e decisamente più dark) del "Viaggio al centro della Terra" di Jules Verne è uscita in sordina appena un anno fa, ma è diventata subito un classico tra gli appassionati (guadagnandosi una seconda stagione che uscirà in data ancora da definirsi).


VVVVID: Made in Abyss
Netflix: Made in Abyss

2018 - Violet Evergarden

Infine, abbiamo il primo simuldub italiano della Storia (ovvero le puntate sono state pubblicate settimanalmente in contemporanea con l'uscita giapponese, direttamente doppiate). La nuova serie di Kyoto Animation era attesissima e, sebbene il risultato finale viaggi tra alti e bassi, sa regalare momenti molto intensi. Oltre ad essere uno dei prodotti d'animazione per la TV più impressionanti mai visti dal lato puramente visivo (al livello delle più recenti produzioni cinematografiche).


Netflix: Violet Evergarden
#9
Due serie portano il nome di Kino no Tabi - The Beautiful World (o Kino's Journey, se preferite): una è un piccolo cult del 2003, l'altra il suo maldestro tentativo di reboot fatto nel 2017 (oltre che una delle mie più grosse delusioni di quell'anno). Cosa li differenzia? Eh, una piccola cosa chiamata autorialità.


Ryutaro Nakamura è il regista di Kino 2003. Se il nome non vi è familiare, basti sapere che è stato l'autore, tra le altre cose, di quell'altra perla visionaria che è Serial Experiments Lain. Il suo Kino ha uno stile minimale ma d'impatto.

Pur partendo dallo stesso materiale di base (light novel) e potendo contare su mezzi ovviamente più all'avanguardia (14 anni non sono pochi), Kino 2017 risulta molto più generico, più blando sia nell'estetica che nel messaggio.


Parlando della serie in sé, il tema centrale è il viaggio: Kino viaggia di paese in paese con la sua moto parlante (non fate domande, parla e basta... è solo un espediente per avere un dialogo costante) trovandosi a che fare ogni volta con popoli sempre diversi per cultura, religione, tecnologia, morale. I due si trovano quindi nelle più disparate situazioni, osservando le persone che incontrano e riflettendo sui loro comportamenti, dai più strani ai più meschini, con un occhio esterno.

Come recita la tagline della serie: "Il mondo non è bellissimo, per questo lo è".   


L'anime quindi vuole provocare lo spettatore, come se fossimo noi i viaggiatori, spingendo a chiederci se possiamo giudicare cosa è giusto e sbagliato. Filosofia, psicologia, senso dell'avventura e della scoperta... può ricordare alla lontana Star Trek in effetti.

Questo ovviamente vale per l'originale: Kino 2017 ha il potenziale ma non si applica. E ovviamente, visto che non ci meritiamo le cose belle, in streaming si trova solo la serie nuova (ve la linko lo stesso, anche solo per invogliare al recupero di Kino 2003, disponibile dal gruppo fansub The Supremes).


Ironicamente, nella stessa stagione di Kino 2017 andava in onda una serie che incarnava molto di più lo spirito di Kino 2003, e la vedremo la prossima volta.

Scheda: Kino no Tabi (2003)
Scheda: Kino no Tabi (2017)

Crunchyroll: Kino no Tabi (2017)
#10
"Wow, che figo quest'anime fatto in CG". Mai sentita questa frase? Neanche io. Ecco perchè l'anno scorso avevo bellamente ignorato questo Houseki no Kuni - Land of the Lustrous, viste le prime immagini e notizie a riguardo. Dopo la messa in onda però si è generato un certo passaparola a riguardo, fino a diventare una tra le serie più raccomandate del 2017 dagli appassionati (vi segnalo a questo proposito il nuovo podcast che ho iniziato ad ascoltare, The /r/Anime Podcast, direttamente dalla subreddit dedicata al mondo anime, grazie al quale sto recuperando qualche chicca come questa). Vediamo perché.


Già il setting è piuttosto originale: protagonisti sono dei minerali antropomorfi che abitano il pianeta dopo che gli esseri umani sembrano essersi estinti. Il loro problema è che vengono costantemente presi di mira dagli abitanti della Luna, per farne strumenti e altre cose non meglio precisate.

I nostri amici luccicanti devono quindi pattugliare i dintorni del loro insediamento trovandosi spesso a combattere questi esseri dalle sembianze quasi divine.


Quello che seguiamo principalmente nel corso della storia è Phos, a cui non è permesso combattere perché ha un grado di durezza piuttosto scarso rispetto ai suoi fratelli (3,5 su 10 che è il massimo, cioè il diamante), rompendosi spesso e volentieri già da solo. Sì perché queste gemme in realtà non possono morire: anche andando in pezzi possono essere ricomposte. Interessante però il fatto che la loro memoria è immagazzinata in tutto il corpo, quindi se dei frammenti vanno perduti con loro se ne andranno anche dei ricordi.


Come si diceva all'inizio, questa serie è realizzata quasi completamente in CG (mi pare che solo gli sfondi siano in 2D) e per una volta si può essere felici di questa scelta: innanzitutto è perfetta per la resa dei personaggi, con tutte le loro superfici riflettenti. Secondariamente, permette di fare dei movimenti di camera e coreografie di combattimento unici.

Questo è il segreto di una buona animazione 3D: sfruttarla per fare cose che non si potrebbero fare con l'animazione tradizionale, non per scimmiottarla. Si spera che Houseki venga preso ad esempio per le prossime produzioni che hanno in mente di utilizzare questa tecnica, perché ha veramente fissato un nuovo standard di qualità.


L'unico vero difetto è che il finale è aperto: dopo aver mostrato l'ottimo percorso di crescita di Phos la storia si interrompe proprio quando cominciano a venire svelati alcuni misteri dell'ambientazione. Il manga da cui è tratto è ancora in corso, speriamo non ci voglia troppo tempo per una seconda stagione.

In ogni caso, vale assolutamente la pena recuperarlo perchè è proprio, ehm, una piccola perla (wink wink).

Scheda: Houseki no Kuni

VVVVID: Houseki no Kuni
#11
Eh sì, non potevo ancora chiudere il discorso Monogatari senza riservare uno spazio apposito per quello che rappresenta il picco massimo di questo franchise. Perchè è vero, avevo scritto che Bakemonogatari è la parte dalla qualità generale più alta... ma solo se ci limitiamo alle produzioni per la TV. Eccoci quindi a parlare per la seconda volta di una serie cinematografica: Kizumonogatari.


Un po' di contesto storico, in questo caso importante per capire la portata del progetto: l'adattamento di Kizu viene annunciato per la prima volta nel 2010, poco dopo il successo di Bake (nelle novel infatti Kizu, che è un prequel, viene subito dopo Bake), in forma di film. Da lì, non se ne è più saputo nulla per CINQUE ANNI, con la produzione che è andata avanti a rilento per ottenere il migliore risultato possibile (nel frattempo il resto di Shaft buttava fuori regolarmente le successive novel di Monogatari per la TV).

Finalmente nel 2015, dopo anni di silenzio e attesa, squillo di trombe: Kizu è ufficialmente una trilogia di film, col primo in uscita nel 2016 (e l'ultimo "solo" ad un anno di distanza). Ne è valsa la pena? Oh sì (questo post non esisterebbe altrimenti). Come dimostrazione, provate a guardare qui sotto la scena con cui si apre il primo film.


Ora che l'ho scritto, mi ricorda la parabola di The Last Guardian, quasi ci stiamo coi tempi... Comunque, valgono più o meno tutte le cose belle dette su Bake, con la differenza che qui hanno raggiunto un livello di animazione incredibile, le scene non sono più statiche ma c'è dinamismo anche quando i personaggi sono impegnati nei tipici dialoghi surreali della serie, e c'è decisamente più azione (nel terzo film è presente il più assurdo scontro tra vampiri mai apparso su schermo, vedere per credere).


Aggiungiamoci anche lo sperimentalismo registico di Shaft che viene portato a nuove vette (ad esempio i personaggi 2D che si muovono in scenari fotorealistici, la palette di colori molto giocata sul contrasto bianco/rosso), una colonna sonora con virate sul jazz e il gioco è fatto.


Non ho molto altro da dire, visto che alla fine la serie è quella: per chi ha amato Bake questo capitolo è imperdibile, agli scettici difficilmente farà cambiare idea, ma direi di provare lo stesso la visione perchè sarebbe un peccato non ammirare il risultato di questo lavorone (visione che in ogni caso è fattibile solo tramite fansub, dal gruppo Omnivium).   


Posso quindi chiudere qua, raccomandandovi questa bella analisi approfondita su cosa rende speciali le Monogatari Series che ho trovato nei giorni scorsi (rigorosamente spoiler free, potete andare tranquilli). Il video è in inglese ma fatto da un italiano, quindi si capisce piuttosto bene, e seppur lunghetto è molto scorrevole: complimenti.


Scheda: Kizumonogatari
#12
Smaltito l'E3 e la raffica di dirette ad orari improbabili, torniamo a noi. L'ultima volta ho tirato in ballo lo studio Shaft e non puoi parlare di Shaft senza parlare della serie con cui sono legati a doppio filo (come non puoi parlare di Ufotable senza parlare di Fate). Ecco quindi uno degli anime più strani, stilosi, fuori di testa in circolazione: Bakemonogatari.


In realtà, per essere preciso, dovrei parlare di Monogatari Series, che è la serie di light novel su cui si basano questi adattamenti di Shaft: tutto ha inizio nel 2009, quando decidono di trasporre il primo blocco di novel (Bakemonogatari appunto) e la serie, semplicemente, gli esplode tra le mani diventando un instant classic dalle vendite enormi in home video.

Questo porta ovviamente alla trasposizione di tutti gli innumerevoli seguiti (dove "innumerevoli" non è un'iperbole, visto che dal 2009 ad oggi continuano ad uscirne con regolarità), ma qui si esamina solo la prima serie, sia perché è tranquillamente autoconclusiva nei suoi 15 episodi, sia perché rimane quella qualitativamente migliore (con qualche eccezione negli ultimi archi narrativi e in quelli centrali). Tra l'altro è l'unica arrivata in streaming in Italia.


Non è facile descrivere questa serie, più unica che rara nel suo genere. Cominciamo dal titolo, crasi di "bakemono" (mostro) e "monogatari" (storia): si raccontano appunto le storie di un gruppo di ragazzi che viene a contatto con degli esseri paranormali, chiamati anomalie, causando vari problemi. Le anomalie però di solito non interferiscono con gli umani, finchè non sono questi ad attirarseli contro per questioni personali (che andranno affrontate per liberarsene).

Questa è solo la premessa della storia, ma i punti peculiari sono altri: innanzitutto c'è la scrittura dei dialoghi, brillanti, divertenti, pieni di giochi di parole, di citazioni ad altri anime ed alla cultura otaku in generale. Difatti Bakemonogatari si presenta all'apparenza come uno dei tanti harem ricchi di fanservice che piacciono tanto a un certo pubblico, ma allo stesso tempo ne ribalta e prende in giro gli stereotipi e i clichè.


Inoltre, dal lato visivo non sarà tecnicamente allo stato dell'arte, ma trasuda stile da ogni frame: la composizione delle scene, le inquadrature, le transizioni, tutto è fatto con una regia stramba e geniale allo stesso tempo. Questo riesce a movimentare e dare ritmo ad una serie che si basa essenzialmente sui dialoghi e molto poco sull'azione.


Non sono da meno le sigle, che cambiano ad ogni arco narrativo (ce ne sono ben cinque solo in questa prima serie, una per personaggio principale) e sono altrettanto fuori di testa (da questo punto di vista si sono superati nei vari seguiti). La vera perla però secondo me qui è la ending, comune a tutti gli episodi, ma con particolari che cambiano per ogni arco.


Immagino si sia già capito, ma questa è una serie molto divisiva: alcuni la odieranno, altri la ameranno. Di sicuro non lascia indifferenti, cosa che la rende meritevole di attenzione.

Ah, ovviamente è solo sottotitolata, doppiare una roba del genere non avrebbe senso (e sarebbe impossibile). 

Scheda: Bakemonogatari

VVVVID: Bakemonogatari
#13
Si ritorna (dopo l'abbuffata God of War) per portare alla luce quella che è stata la mia serie preferita sia del 2016 (prima stagione) che del 2017 (seconda stagione): si parla di March Comes in Like a Lion (in originale Sangatsu no Lion, tradotto simpaticamente da noi anche come Un Marzo da Leoni).


Il giovane protagonista Rei abita da solo guadagnandosi da vivere come giocatore professionista di shogi (gli scacchi giapponesi, per semplificare). Un giorno fa la conoscenza delle tre sorelle Kawamoto, che sconvolgono la sua monotonia e lo portano a riconsiderare la sua vita e i suoi legami con gli altri.

Ebbene sì, a questo giro niente superpoteri, niente mondi fantasiosi, niente battaglie mortali. Solo la dura vita quotidiana e le sue difficoltà da affrontare giorno per giorno.


Tratto da un manga ancora in corso (e vincitore di diversi premi in patria), Sangatsu è animato dallo studio Shaft, famoso per le sue serie dallo stile particolarissimo (soprattutto Madoka Magica e le Monogatari Series). E anche qui infatti la loro impronta si vede, con gli sfondi che sembrano quasi acquerellati e un character design che all'inizio mi faceva strano ma di cui ora non potrei fare a meno.


La bellezza di questa serie sta nel come tratta i suoi personaggi, nel come li rende vivi e li fa maturare nel corso della storia: anche quelli che all'inizio sembrano più stronzi hanno le loro ragioni e finisci col comprenderli.

Il racconto si giostra tra situazioni tristi e allegre sempre con naturalezza ed equilibrio. Ad esempio nella seconda stagione (che è ancora meglio della prima) c'è un arco che tratta del bullismo con una forza e un tatto visti di rado (in questo si può paragonare al recente film A Silent Voice - La Forma della Voce).


Interessanti sono anche le scene dedicate alle partite di shogi, che diventano dei duelli mentali e riescono ad appassionare anche non capendo niente di quello che avviene sulla scacchiera (anche dopo 44 episodi continuerete a non riconoscere i pezzi, posso assicurarvelo, ma non è un problema).


Meritano una menzione le varie sigle di apertura e chiusura: sono tutte magnifiche, raramente ho visto una tale quantità di sigle di così alto livello per una singola serie (mi vengono in mente solo le due serie di Fullmetal Alchemist). Ne metto solo una per fare da esempio, ma la scelta è stata difficile.


Parlando di meriti, faccio prima un plauso a VVVVID per aver portato in Italia la prima stagione di questa adorabile serie (ora anche su Netflix con entrambe le stagioni), e poi una pernacchia per non aver rinnovato i diritti con la seconda.

Scheda: Prima Stagione
Scheda: Seconda Stagione

VVVVID: Prima Stagione
Netflix: March Comes in Like a Lion
#14
Si è parlato molto in questi lidi di Kiseiju - L'ospite indesiderato (giustamente, tra i migliori anime recenti), ma forse non tutti sanno che in quel periodo (fine 2014 - inizio 2015) una Madhouse in grande spolvero piazzava la combo con un'altra serie altrettanto importante: Death Parade.



Due persone si ritrovano in un bar sconosciuto senza ricordarsi come ci sono arrivati. Il barista li informa che dovranno partecipare ad un particolare gioco con in palio la loro vita o non potranno uscire. Quello che non sanno... è che sono già morti e il barista non è altro che il giudice che dovrà decidere chi può reincarnarsi e chi no: la parte del giochino sadico serve infatti a mettere sotto pressione i nuovi arrivati e portare alla luce la loro vera natura, così da esprimere un equo giudizio, almeno in teoria...



Nato come corto dal nome di Death Billiards, è stato saggiamente deciso di ampliare il concept di base in una serie da 12 episodi. La struttura all'inizio sembra semplicemente antologica, con ogni episodio che presenta una nuova coppia di "sfidanti" e la loro storia, ma più si va avanti e più prende forma anche una trama orizzontale che mette in discussione il sistema stesso di giudizio delle anime.



L'accostamento fatto con Kiseiju non è puramente temporale o produttivo: anche Death Parade unisce l'intrattenimento di una storia affascinante con riflessioni psicologiche e filosofiche sulla natura umana, sulle nostre relazioni, sulla vita e sulla morte (ovviamente visto il tema).

Parliamo quindi di una serie riflessiva, drammatica (con qualche sprazzo più leggero), a tratti anche commovente (l'ultimo episodio... non dico niente). Chiaro? Bene, guardiamo la sigla.


Esatto, è completamente fuori luogo! Però è bellissima e va bene così (ci pensa la ending a rimettere in chiaro i toni).

Amenità a parte, visivamente è un gran bel vedere, con animazioni fluide e atmosfere molto azzeccate per il contesto e l'ambientazione in cui si muovono i personaggi.



Anche il doppiaggio è stato fatto in parallelo a quello di Kiseiju (a consolidare ancora una volta il binomio formato da queste due splendide serie) e di recente l'hanno reso disponibile pure su Netflix (quindi non c'è proprio da lamentarsi).

Se qualcuno è proprio dubbioso il mio consiglio è di partire guardandosi il "prototipo" Death Billiards, per capire subito se può interessare o meno la serie per intero (il corto però è solo sottotitolato).

Scheda: Death Parade
Scheda: Death Billiards

VVVVID: Death Billiards | Death Parade
Netflix: Death Parade
Prime Video: Death Parade
#15
Eccoci arrivati a parlare di una delle mie serie preferite di sempre, una delle due migliori del decennio appena trascorso per quanto mi riguarda (l'altra è Fullmetal Alchemist: Brotherhood, per capirci): la prima collaborazione Type-Moon X Ufotable, l'opera magna che li ha consacrati tra i big dell'animazione giapponese, Kara no Kyoukai - The Garden of Sinners.


Prima di tutto, bisogna dire che questa non è una classica serie per la TV, ma una serie cinematografica composta da sette film (più qualche special aggiuntivo, per i completisti) usciti tra il 2007 e il 2009. Perciò è qualcosa di molto più curato dal lato di regia e fotografia rispetto, ad esempio, alle due serie di Fate che abbiamo già trattato; in particolare l'uso di luci e colori crea delle atmosfere pazzesche.



A proposito di Fate/Stay Night, quest'opera nasce come light novel scritta dallo stesso autore, Kinoko Nasu, ed è ambientata nello stesso universo (si parla di Nasuverse). Quindi ci sono dei tratti in comune, come l'esistenza dei maghi, ma la storia è essenzialmente diversa e indipendente (anche perché è stata scritta prima).



La trama ruota attorno ad un'agenzia investigativa che si occupa di casi paranormali, ma è incentrata soprattutto sulla protagonista Shiki (uno dei migliori personaggi femminili mai visti) e sulla relazione "complicata" che ha con l'altro protagonista, Mikiya; complicata per via della natura di Shiki e della sua complessa personalità (non aggiungo altro per non spoilerare).


Kara no Kyoukai è una serie fortemente incentrata sui dialoghi, dal ritmo abbastanza lento e che tratta argomenti non proprio leggeri (si passa dal suicidio, alla violenza sessuale, alla solitudine) senza farsi troppi problemi a mostrare scene macabre e disturbanti, con atmosfere prevalentemente cupe e angoscianti. Quindi non è esattamente per tutti e qualcuno potrebbe trovarla pesante o rimanere confuso (i primi quattro film non seguono volutamente l'ordine cronologico), ma chi saprà passarci sopra troverà qualcosa di speciale, che non si vede tutti i giorni.



Non mancano comunque scene d'azione, coreografate in maniera eccezionale, dove la produzione brilla di più; ma sono piuttosto rade e come detto non è quello il fulcro dell'esperienza.

Ogni film è godibile come standalone e presi singolarmente si va dal buono all'ottimo, col quinto e il settimo che rappresentano i punti più alti (sono anche gli unici che si prendono due ore di durata, mentre gli altri restano sull'ora scarsa); il quinto poi sarà apprezzato particolarmente dagli amanti dei mindfuck (con quel montaggio che Memento spostati proprio). Ma è solo quando si arriva alla fine, con tutti i tasselli andati al loro posto, e si considera tutto l'insieme che ci si trova davanti al capolavoro.


A elevare ulteriormente la produzione ci pensa una colonna sonora semplicemente divina (forse non si era capito... l'ho solo spammata su tutta la pagina): Yuki Kajiura qui si è superata creando una OST che si amalgama perfettamente alle immagini e fa metà del lavoro nel creare queste atmosfere uniche. Ciliegina sulla torta sono le sette ending cantate dalle Kalafina, una più bella dell'altra (the more you know: il gruppo, che ha poi avuto enorme successo in Giappone, è stato formato proprio dalla Kajiura nel 2007 per il progetto Kara no Kyoukai).


L'unica nota stonata in tutta questa bellezza è costituita dal sesto film, non perchè sia brutto in sè, ma sembra più un filler in confronto agli altri: il tono è decisamente più leggero, l'avanzamento per la trama generale è quasi nullo e soprattutto è infilato tra i due film più intensi, forse volutamente come un alleggerimento, ma l'effetto non si può dire proprio riuscito.



L'immancabile nota amara per chiudere: questa serie non è mai arrivata in Italia (e mai arriverà, aggiungo io mestamente), troppo di nicchia e immagino con licenze troppo costose visti i prezzi assurdi a cui vengono venduti i box blu-ray all'estero (non meno di 250 euro... per l'edizione standard eh, non nomino neanche la limited). Quindi anche stavolta si va di fansub (e anche stavolta la versione consigliata è quella dei Fate-Subs, che hanno fatto anche tutti i vari special extra).

Kara no Kyoukai rappresenta il non plus ultra di quello che cerco in un anime: un comparto tecnico d'eccellenza, non fine a se stesso ma al servizio di un racconto profondo, affascinante con personaggi sfaccettati e complessi. Non potrei raccomandarlo di più (con i limiti di cui sopra).

Scheda 1: Overlooking View
Scheda 2: A Study in Murder (Part 1)
Scheda 3: Remaining Sense of Pain
Scheda 4: The Hollow Shrine
Scheda 5: Paradox Spiral
Scheda 6: Oblivion Recording
Scheda 7: A Study in Murder (Part 2)
#16
Intratteniamoci ancora un po' nel mondo di Fate/Stay Night, salendo di livello con quella che è ritenuta all'unanimità la sua migliore incarnazione: se Unlimited Blade Works vi è sembrata una scaramuccia tra ragazzini, ecco a voi il Game of Thrones dell'animazione, Fate/Zero.



Piccola premessa: essendo questo un prequel, tecnicamente andrebbe visto dopo le tre route di Fate/Stay Night, sia per cogliere tutti i vari riferimenti, sia per non farsi spoilerare varie cose che sarebbe meglio scoprire al momento giusto (in particolare in Heaven's Feel). Ma siccome ci vorrà ancora un annetto (facendo gli ottimisti) per avere la trilogia completa di film su Heaven's Feel, ci attacchiamo e andiamo avanti. D'altronde "gli spoiler non esistono" (cit.).

Ambientata 10 anni prima rispetto alla storia originale, la serie racconta la precedente Guerra del Santo Graal, i cui eventi hanno portato a ciò che si è visto in UBW. Abbiamo quindi di nuovo a che fare con sette Master e sette Servant che si sfidano in una battle royale, ma con un tono piuttosto diverso: più epico, più coinvolgente, più profondo, ma anche più dark, più violento, più nichilista. Dopotutto Fate/Zero nasce come light novel scritta da Gen Urobuchi, noto per riempire le sue opere di pessimismo cosmico (Psycho-Pass, Madoka Magica).



Avere anche un cast di (quasi) soli adulti, invece dei soliti liceali in preda agli ormoni, consente di avere una storia matura in cui a scontrarsi, prima ancora delle spade, sono gli ideali portati avanti dai vari protagonisti: già dal lungo prologo avremo un'idea delle varie forze in campo e delle loro motivazioni. I dialoghi sempre interessanti e ricchi di spunti di riflessione fanno scorrere la storia anche nei momenti più "lenti", il ritmo quindi non ne risente come in UBW.

Trovandoci di fronte a un prequel, già sappiamo dove andranno a parare gli sforzi dei personaggi e questo aggiunge un senso di tragicità ulteriore alla vicenda (alla fine di ogni episodio è presente un inesorabile countdown che punta all'inizio dei fatti di Fate/Stay Night).



Non mi dilungo sullo splendido aspetto estetico della serie (è sempre Ufotable, anche se la serie è leggermente meno d'impatto rispetto ad UBW essendo più vecchia di tre anni), mentre ci tengo a sottolineare la sontuosa colonna sonora firmata da Yuki Kajiura che esalta ancor di più i momenti più epici e drammatici (notevoli anche le cinque opening/ending, soprattutto "To the Beginning" e "Manten" cantate dalle Kalafina).


Purtroppo Fate/Zero non è (ancora?) disponibile in Italia, ma viste le ultime mosse di Dynit non è improbabile che la recuperino nel prossimo futuro. Per ora ci accontentiamo dei fansub (consiglio la versione dei Fate-Subs, specialisti di questo franchise).

Fate/Zero è indubbiamente una delle serie più belle uscite negli ultimi anni e per alcuni la migliore opera di Ufotable. Ma non per me: nella prossima puntata chiuderemo questa retrospettiva in tre parti con il vero capolavoro di questo studio d'animazione (hype!).

Scheda: Fate/Zero

#17
E partiamo subito a bomba parlando di uno degli studi d'animazione moderni che preferisco: Ufotable. Mentre ancora oggi escono serie con una CG da far sanguinare gli occhi, questi da un decennio hanno trovato la quadra nel fondere animazione tradizionale ed effetti digitali, grazie al loro Digital Team che lavora fianco a fianco con gli altri animatori. E i risultati si vedono.


Ora, Ufotable ha dato il meglio nella produzione di adattamenti da opere Type-Moon (casa produttrice di visual novel, light novel, romanzi) e proprio in questi giorni sta uscendo nei cinema nostrani la loro ultima grande produzione: Fate/Stay Night: Heaven's Feel 1.


Trattasi della prima parte di una trilogia di film che va ad adattare la terza (ed ultima) route di Fate/Stay Night, visual novel del 2004. Per chi non lo sapesse, questa si compone di tre route che si sbloccano una dopo l'altra solo dopo aver completato la precedente, e sono nell'ordine:

1 - Fate
2 - Unlimited Blade Works
3 - Heaven's Feel

Ogni route racconta di base la stessa storia, ma con svolgimenti diversi, dando più spazio a certi personaggi invece che ad altri e, soprattutto, mettendo in conto che voi già conosciate le route precedenti.

Forse avrete capito il "problema" a cui volevo arrivare: guardando Heaven's Feel partendo da zero non dico che non si capirebbe un cazzo, ma ci si potrebbe trovare spaesati.

Quindi? Purtroppo non esiste una versione animata decente della prima route Fate (se siete pazzi come me potreste leggerla direttamente come visual novel, l'hanno anche tradotta in italiano qui), ma non vi perdete troppo (è la più semplice e meno interessante delle tre). Perciò il nostro punto di partenza diventa automaticamente l'ottima trasposizione di Unlimited Blade Works fatta sempre da Ufotable nel 2014.


Aaah, la Guerra del Santo Graal: sette maghi (Master) partecipano ciclicamente ad una battaglia all'ultimo sangue avendo dalla loro uno spirito eroico evocato dalla Storia (Servant) appartenente, a seconda delle abilità, ad una delle sette classi: Saber, Archer, Rider, Lancer, Caster, Assassin e Berserker. Chi vince potrà vedere esaudito qualunque desiderio dalla coppa onnipotente... ma sarà così semplice?


Tra misteri, strategie al limite del buon senso, idealismi a confronto e combattimenti spettacolari si dipana una storia appassionante che intrattiene per 25 episodi (più prologo). Il ritmo è altalenante e non tutti i personaggi sono approfonditi, ma questo è fisiologico dato il materiale di base. Inoltre il setting scolastico potrebbe infastidire alcuni, lo capisco (in tal caso non perdetevi la prossima puntata ;) ).

Visivamente è una meraviglia (come già accennato all'inizio) e si vede soprattutto nei combattimenti tra Servant (da mascella a terra), mentre musicalmente non posso non citare la fantastica seconda opening "Brave Shine" e soprattutto la meravigliosa insert song dell'episodio 20 (non a caso il migliore della serie) "Last Stardust", entrambe cantate da Aimer (che voce ragazzi).


Per concludere, UBW vanta un doppiaggio in italiano davvero buono e fedele all'originale, posso confermarlo avendo appena rivisto la serie in preparazione al film in uscita (ma raramente Dynit sbaglia in questo campo).

Vi lascio con la scheda di AnimeClick (con tutte le comode informazioni sulla reperibilità ecc...): Fate/Stay Night: Unlimited Blade Works.
 
P.S.: Se non avete tempo/voglia per seguire tutta la serie e volete andare comunque al cinema per Heaven's Feel è consigliato vedere almeno i primi 3 episodi di UBW, per un'infarinatura generale.

VVVVID: Prima parte | Seconda parte
Netflix: Fate/Stay Night: Unlimited Blade Works
Prime Video: Fate/Stay Night: Unlimited Blade Works
#18
Extra Credits / #ANIME: I consigli di #DOKTOR #00
3 February 2018, 01:50:52
Salve ragazzi, era da un po' che mi frullava per la testa quest'idea. Visto il crescente interesse per la scena dell'animazione giapponese che si percepisce negli ultimi tempi, complice la maggiore diffusione grazie alle nuove piattaforme streaming dedicate e non (VVVVID, Crunchyroll, Netflix, Amazon Prime Video, ecc...) vi presento la prima rubrica su Free Playing completamente dedicata agli anime, completamente aperiodica e completamente a cazzo di cane (forse no dai).

Qui verranno segnalate le serie che ritengo più interessanti e che vale la pena recuperare, sia dal presente che dal recente passato (che conosco di più), prediligendo magari le perle meno conosciute.

In questa puntata 0 però non voglio parlarvi di un'opera in particolare, ma darvi qualche canale YouTube fidato come punto di riferimento per addentrarvi in questo mondo (sì, sono tutti in inglese).

Glass Reflection

Cominciamo dal più noto (credo) recensore anime del tubo, con un canale attivo dal 2010 (ma con video risalenti anche ad anni prima!). Probabilmente qualsiasi serie consiglierò, lui l'avrà coperta. Ogni tanto piazza qualche discussione specifica tra una recensione e l'altra.
Faceva anche un podcast molto divertente con altri suoi compari, purtroppo morto quando ho iniziato ad ascoltarlo...




Under The Scope

Questo ha iniziato con recensioni sulla falsariga di GR (non so se voluto o meno), ora si dedica soprattutto ad analisi a tutto tondo.




The Canipa Effect

Terzo ma non meno importante, il canale per appassionati non solo delle produzioni animate, ma di CHI e COME le produce: approfondimenti sugli studi d'animazione o sui singoli animatori, con una passione e una cura certosina per dettagli e fonti.




BONUS: Melodic Star

Infine, ecco il canale per i più "musicofili": carica le migliori sigle/soundtrack/insert song complete di ogni stagione appena disponibili, oltre a fare compilation varie ed eventuali.




Bene, alla prossima per cominciare sul serio. Fate sapere se vi piace l'idea (e trovate un nome alla rubrica, io non ho fantasia...)

P.S. Ovviamente ho barato, ho già cominciato a segnalarvi robe (e che ROBE), ma ne riparleremoTM.